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La maturità

Photo by  Quang Nguyen Vinh

Unità o uniformità?

Raggi di luce

Photo by 
Ryutaro Tsukata

Una delle idee su cui Chiara Lubich poneva sempre molta enfasi era quella dei raggi e del sole*. Ciascuno percorre il proprio raggio e più ci si avvicina al sole più i raggi convergono e ci si avvicina gli uni agli altri. Chiara non ha mai detto che si debba percorrere tutti lo stesso ed unico raggio. Il suo era il sogno dell'unità non dell'uniformità.
  • Può essere che col tempo, senza volerlo, si sia posta invece più enfasi sull'uniformità piuttosto che sull'unità nella molteplicità?
  • Da cosa è dipeso questo cambio di paradigma?
  • È ancora possibile ricalibrare la rotta e ricominciare a camminare ciascuno sul proprio raggio?
  • La molteplicità di idee e individualità trovano oggi un terreno fertile nelle strutture e nella prassi del movimento dei focolari?
Queste domande sono forse scomode e questo argomento, ce ne siamo resi conto anche solo parlandone e confrontandoci, è molto delicato e reca in sé anche tanta sofferenza. È come aver toccato un nervo scoperto e per questo reputiamo molto importante il provare a parlarne con tutta la pace e serenità degli angeli, troni e dominazioni. 

Alain de Benoist una volta scrisse queste parole:

"L'obiettivo finale è di normare, normalizzare, imporre ovunque il Medesimo. Sbarazzarsi di disparità e differenze. Uniformare i modi d'essere, di parlare, di vivere, di produrre, di amare. Proibire il pensiero autonomo. Indurre ognuno a godere del momento presente senza mai metterlo (e mettersi) in prospettiva. Abituare le persone a vivere in un disagio permanente, senza potersi mai interrogare sulle sue cause né ribellarsi contro coloro che ne sono responsabili. Abituarle a vivere nella miseria spirituale convincendoli che è proprio quella miseria a renderle felici. In poche parole, alimentare la rassegnazione."

È certamente una provocazione, ma per alcuni aspetti per taluni l'esperienza in seno al Movimento dei Focolari ha avuto questi connotati. Senza volerlo talvolta si è imposto "il medesimo". Cosa significa ad esempio l' "unità di pensiero" di cui parlava Chiara?

Nel provare quindi a rispondere sinceramente a queste domande ci siamo imbattuti in un ottimo articolo di Luigino Bruni. Ne consigliamo la lettura. (vai all'articolo
Proveremo a dialogare con alcuni spunti tratti dall'articolo e "facciamo finta" che le sue analisi siano rivolte direttamente al Movimento dei Focolari. 

(...) la vocazione siamo noi, essa cresce con noi, prende i caratteri dei nostri talenti, del nostro lavoro, semplicemente della nostra vita. E quando la vocazione si svolge dentro comunità, decisivo diventa allora il rapporto tra la nostra vocazione, quella degli altri con cui viviamo, e l’istituzione nella quale essa nasce e cresce.

Siamo d'accordo e purtroppo leggere queste parole provoca subito un serio esame di coscienza.
  • Le nostre comunità sono capaci di custodire, garantire, e promuovere le vocazioni
(...) Molte vocazioni appassiscono o si spengono perché ad un certo punto si guasta la dinamica individuo-comunità, per la cattiva gestione della distanza che si viene a creare nel tempo tra lo sviluppo della propria vocazione e quello della comunità. Questa distanza crescente è inevitabile, perché ogni vocazione è unica e irripetibile, e quindi le sue forme e i suoi tempi di sviluppo non possono mai coincidere con le forme e i modi della comunità, perché quando coincidono si ferma lo sviluppo della persona e della comunità. È negli scarti, negli spacchi, nei non allineamenti dove si genera e rigenera la vita. Il blocco della fioritura della vocazione non dipende allora da questa distanza, che è molto buona, ma dal suo esercizio. Ed è proprio qui che si commettono gli errori più gravi.
  • Quanto sono elastiche e flessibili le nostre comunità per garantire che ogni vocazione "unica e irripetibile" possa maturare e crescere? 
(...) l'errore di gran lunga più comune lo commettono i responsabili della comunità, quando di fronte al disagio e alla difficoltà di gestire l’allontanamento tra le forme e i modi con cui la singola persona vive la propria vocazione e quelli ‘normali’, credono di eliminare disagio e difficoltà semplicemente chiedendo alla persona di uniformarsi ai tempi e ai modi della comunità, perdendo ciò che costituiva la sua nota originale.

La richiesta ad "uniformarsi" è a volte implicita. È la strada più facile e corta, ma è anche una forma di violenza molto raffinata perché gioca sul filo del senso di colpa. 
  • I responsabili dei nostri focolari sono formati a questa sensibilità?

  • Dopo aver commesso per anni l'errore di perdere tante vocazioni, cosa si può fare oggi per rimediarvi e fare in modo di non commetterlo più?
(...) Si perde così di vista quella che i filosofi medievali chiamavano l’ecceità, cioè quella dimensione della vita per quale la margherita che sto vedendo ora è questa margherita, e non soltanto una margherita. Che mi fa vedere Giovanna, non soltanto la suora francescana, che pure è. Le persone sono concrete, mai astratte, e la dimensione più concreta di ogni esistenza è proprio la sua vocazione.

È vero e in questo sarebbe la ricchezza e la salvezza dell'Opera. 

(...) La prima astrazione sbagliata è quindi la stessa idea di comunità. Si dimentica che le comunità sono fatte di persone tutte diverse, e si calcola una specie di media che diventa un ‘noi’ astrattissimo in rapporto al quale si misurano gli scostamenti e gli errori degli itinerari delle singole persone concrete. Operazione comunissima e pericolosissima, perché in nome di un astratto bene comune si spengono le persone concrete. E magari si riesce anche a costruire persone che coincidono con la media – peccato che nel processo di trasformazione si perda proprio la parte migliore della persona e presto della comunità.

Non è un mistero che purtroppo sovente nel nostro Movimento abbia prevalso il "tutti" e ci sia stato poco spazio di manovra per chi non "faceva unità a pesce" come si diceva nei primi tempi. Ossia senza parlare, annullandosi completamente. Anche in questo occorre un serio esame di coscienza. 

(...) La tentazione-errore di dimenticare l’ecceità è molto frequente, perché le comunità hanno nel proprio repertorio gli strumenti per ottenere questa conformazione. Le costituzioni, gli statuti, i regolamenti, le decisioni e le delibere dei consigli direttivi hanno anche lo scopo di conservare nel tempo l’unità delle comunità, e di consentire il governo di un corpo senza che si disperda e sfilacci nelle molte interpretazioni diverse e spesso discordi dei vari membri. Ma i saggi governi sanno soprattutto un’altra cosa: che l’esercizio effettivo di questo potere deve essere molto raro, perché quasi sempre una vocazione ridotta alla conformità finisce per perdere il suo splendore e la sua libertà, la sua bellezza più sublime.

Per Chiara gli statuti erano importantissimi e una certa enfasi su di loro è stata posta per anni. Il suo "non toccare il bambino" è stato forse interpretato male, oppure anche lei ha avuto un certo timore di lasciare spazi di libertà che potessero compromettere la sua creatura. 
  • Come fare a garantire la fedeltà a Chiara e alla tradizione, pur non cadendo nella tentazione-errore di dimenticare l'unicità di ciascuno e quel prezioso contributo che sarebbe possibile nella più ampia libertà?

(...) Quando, invece, i percorsi individuali, quindi laterali e tangenziali, vengono scoraggiati e repressi, si fa rivivere il mito di Procuste, che amputava le gambe dei suoi ‘ospiti’ che fuoriuscivano dal suo letto e stirava quelle troppo corte. 


* (vedi nota per la traduzione)

(...) Le comunità-Procuste utilizzano regolamenti, statuti, parole dei fondatori come materiali per costruire un letto a taglia unica, nel quale costringono ad entrare tutti, irrispettosi delle diverse misure vocazionali delle persone. 

È tragicamente vero questo paragone di Luigino Bruni con il mito di Procuste. Tanti hanno sofferto negli anni per il famoso "tagliati la testa" o "fai unità" e simili, ossia comandi più o meno espliciti ad annullarsi.  
  • In questo caso forse dovremmo rivedere la pratica dell'ora della verità e l'uso disinvolto che a volte si è fatto del "purgatorio" o reprimenda che, siamo onesti, non è poi così diverso dal racconto del mito e dalla violenza di Procuste
(...) L’aspetto cruciale che rende molto comune e per certi versi quasi inevitabile questo processo di riduzionismo, sta nel ruolo giocato dalla singola persona. È chi ha ricevuto una vocazione che inizia a rattrappire la propria anima per farla rientrare nella misura unica del ‘letto medio’ comunitario, e poi a compiere vere e proprie auto-amputazioni volontarie della differenza tra la propria misura vocazionale e quella chiesta dalla comunità. 

Qua ciascuno dovrebbe vedersela con la propria coscienza. Certo è che non tutti sempre hanno la maturità di opporsi alla comunità, alle dinamiche di gruppo, al volere, talvolta lunatico, dei responsabili. Bruni utilizza il termine "autoamputazioni" che dice bene la tragedia e la gravità di certi modi di fare indotti.
  • Ci sono forse anche degli scritti di Chiara, alcuni passaggi del suo pensiero che siano stati usati a questo scopo? Non sarebbe arrivato il momento di provare a contestualizzarli e soprattutto non continuare a considerarli quasi come il vangelo?
(...) La saggezza più preziosa, e molto rara, dei responsabili di comunità vocazionali sta allora nell’impedire questi processi auto-distruttivi, anche quando provengono dalle stesse persone, che, soprattutto nei primi anni, traggono un certo benessere dall’adeguamento alla cultura media. Si è veramente responsabili verso una vocazione, soprattutto quando è ancora giovane, se la si aiuta a non perdere la propria eccedenza, a coltivare e custodire la propria unicità; perché quando non si incoraggia e magari si combatte l’ecceità vocazionale, le vocazioni non mantengono nel tempo la loro promessa di bellezza, e vanno a male. Le albe non diventano mezzodì, le primavere che non conoscono la stagione dei frutti maturi.

Non si può leggere queste parole preziose senza provare un profondo dolore.  
  • Cosa può fare il Movimento oggi per rimediare alle tante vocazioni perse?
(...) Una organizzazione-comunità virtuosa è invece simile ad un bravo artigiano che costruisce il ‘letto’ in modo da farlo conformare alla persona reale: sono le persone con le loro diversità vocazionali a rendere feconde le comunità. Difficili da gestire come la vita, come i figli. Spendide come la vita, come i figli. Soltanto le persone, nel loro mistero, contengono il principio attivo dell’evoluzione delle comunità e del compimento del loro carisma. La sindrome di Procuste finisce allora per amputare il futuro di tutti. La sorte di tali tristi comunità è infatti iscritta nell’epilogo dello stesso mito: Procuste viene catturato e ucciso con il medesimo supplizio con cui aveva afflitto le sue vittime. 

Si tratta davvero di una profezia nefasta che non vorremmo si avverasse mai.
  • Saremo in grado di riguadagnare fecondità e reimparare ad accogliere il mistero unico di ciascuno nelle nostre comunità e focolari?


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* mutuata da uno scritto di San Doroteo di Gaza. 505-565 d.c.

* "Wie ich sehe, ist die Freiheit etwas zu groß, - das wollen wir gleich zu ihrer Zufriedenheit abändern"
(er hackt ihr die Beine ab)

"Mi pare che qua ci sia fin troppa libertà, vi porremo subito rimedio per la vostra felicità" (gli amputò le gambe)

Commenti

  1. Non si può mettere una pezza nuova su un vestito vecchio

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